martedì 27 maggio 2008

Religione: oppio dei popoli o cura disintossicante?



Interno Cupola S. Ivo alla Sapienza (1643-1660, Roma), Francesco Borromini




In qualche situazione storica anche il Cristianesimo ha avuto i suoi momenti di sballo o di depressione. La Chiesa è fatta di persone, e queste sono soggette a ogni genere di debolezza che contraddistingue l’essere umano.
Si deve stabilire però se si tratta di momenti transitori, o se la sua costituzione è irrimediabilmente danneggiata dall’abuso di sostanze dopanti.

Parliamo di due droghe che oggi vanno per la maggiore.

Il potere politico.
Drogato mentalmente è chi si prostra al signore di turno. La Chiesa, per prima nella storia, ha invitato a distinguere la legittima autorità, da chi pretende di essere considerato ‘signore e dio’(dominus ac deus). Quando tutti i popoli adoravano come divinità assoluta il loro sovrano, i cristiani dicevano: “L'imperatore è un uomo come me, e io dinanzi a lui sono libero” (Tertulliano, Apologeticon).
La prima terapia disintossicante dal potere politico è stata messa in atto proprio dalla Chiesa, sulle parole di Cristo: “Dai a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Ha smitizzato il potere. Lo ha ridotto entro i confini del buon governo. Per questo quando la Chiesa parla, oggi, come ai tempi dell’impero romano, dà fastidio. Perché prima di tutto si rivolge alle coscienze, senza lasciarsi intimidire dalle minacce, da qualunque parte provengano. “Temiamo Dio, non il proconsole” (Tertulliano, Apologeticon).

La droga degli abusi sessuali.
Oggi si vive spesso una sorta di bulimia sessuale; un insaziabile desiderio di sesso.Una vera rivoluzione è avvenuta in questi ultimi anni. Con tutti i risvolti, anche gravemente negativi o criminali, come prostituzione, stupro, pedofilia, furia omicida…
La Chiesa ha qualche titolo per parlare di queste cose e fare delle proposte? Io credo di sì. È vero che anch’essa, in tanti casi (parliamo dei suoi ministri), si è resa colpevole di gravi abusi, dei quali il più odioso è la pedofilia.
Ma andiamo alla radice del problema. Nella Chiesa chi si comporta così, sa di andare contro i suoi stessi insegnamenti e il Vangelo: “Chi avrà dato scandalo a uno solo di questi piccoli, meglio che sia gettato in mare con una macina da mulino al collo”. Per questo gli abusi possono (e devono) essere eliminati, o quanto meno ridotti ai minimi termini.
Ma chi insegna che il sesso deve essere libero da ogni vincolo, tranne (per ora) quello della minore età, e che l’unico problema è di indossare il preservativo, allora siamo in piena trance da oppio.
Anche in questa sorta di bulimia sessuale, la Chiesa, nonostante i suoi limiti umani, alzerà la sua voce per ricordare che ‘non di solo sesso vive l’uomo’.



venerdì 16 maggio 2008

Il decalogo del socialblog



Io sono un socialblog!

1. Non sono il Signore Dio tuo. Cercane un altro al di fuori di me.

2. Critica ogni tanto il mio nome. Contattami! Sono un algoritmo umano, e quindi imperfetto.

3. Non stare sempre in adorazione davanti a me. Ricordati di alzarti ogni tanto e di sgranchirti le gambe. Fai qualche festa; prendi un po’ d’aria.

4. Onora gli amministratori. Sono i miei genitori. Non dimenticarlo, quando il sistema va in blocco.

5. Non uccidere gli altrui post senza un vero motivo. La pena di morte è in mora quasi ovunque.

6. Non tradirmi con altri aggregatori. Rimani aggregato/a solo a me, amore!

7. Ruba notizie più che puoi, fresche come mozzarelle di bufala; ma che non siano bufale.

8. Non usare account falsi. Dio perdona. L’algoritmo no.

9. Non desiderare l’Home Page degli altri più bravi di te; (di quelli meno bravi, sì).

10. Non desiderare il carisma o karma degli altri; (se il tuo carisma o karma è zero, sì).



Foto in alto: "Il lanciatore di coltelli" (1947), Henri Matisse (Illustrazione per il volume Jazz)

martedì 13 maggio 2008

Dacci oggi il nostro post quotidiano


Nella vita di tutti i giorni si ha a che fare sempre con persone faccia a vista. Fino a pochi mesi fa non avevo alcuna esperienza di cosa fosse un social network o una community virtuale.

Parli, ma non vedi; scrivi, e non sai a chi; digiti ‘caro amico’ e ti risponde piccata una pulzella; commenti con un deferente lei, e subito sei invitato a un più cordiale tu. Aspetti che qualcuno ti dica grazie, e arriva invece una gomitata nel petto che ti spinge indietro.

I nick e gli avatar, in questa specie di manicomio condominiale, mi hanno subito affascinato. Nella loro quasi sempre simbolica combinazione mi sono sembrati la quintessenza di una personalità, il distillato di un pensiero. Poi ho visto che spesso rimandano a dei bellissimi siti, con nome, cognome, fotografie, stato di famiglia, vita e miracoli (la morte lasciamola stare), numero telefonico...
Allora il fascino del piccolo nick si è ridotto alla poesia che ti ispira un francobollo postale.

La vita nel villaggio è simile a quella di un’assemblea studentesca, o se volete di un collegio di docenti, dove uno parla, pochi ascoltano, altri chiacchierano tra di loro, molti leggono il giornale, e alla fine tutti alzano o abbassano la mano, magari senza aver sentito un tubo. Si fanno però anche simpatici incontri, di ogni tipo, perché le idee sono tutte rappresentate; un mondo multiculturale (insomma…)

Ma qui la vita sembra soprattutto una lotta per la sopravvivenza. Chi mette in dubbio (io, per esempio) la validità assoluta del darwinismo come selezione naturale, vada a postare in questi siti. La selezione è proprio inesorabile, implacabile; sopravvive il più dotato, pardon, il più votato. E, come vuole Darwin, è solo il caso il regista assoluto. Ma il neodarwinismo sostiene invece che il caso viene corretto da un certo finalismo, che elimina questo, ma non quello. Chissa chi ha ragione?

Nonostante tutto, io come Candido di Voltaire, non ho perso la fiducia nell’agire umano e cercherò di 'coltivare il nostro giardino' del social network di cui faccio parte, producendo cavoli vari e qualche post, per smentire se non altro chi mi vuol far discendere da un babbuino.


Foto in alto: "I girasoli" (1888), Vincent Van Gogh (Neue Pinakothek, Monaco di Baviera)

venerdì 9 maggio 2008

Home Page (in versi)














Salire in alto è qualcosa di innato nella natura umana.
Scalare la Home Page di Oknotizie (e di ogni altro aggregatore) fa parte dell’innato istinto dell’utente.



Tutti nel mondo cercan di scalare;
c’è chi vuole scalare le montagne,
chi nella luna il piede vuol posare;
e chi, se non va in Home, è triste e piagne.

La porta della Home è molto stretta
e numerosi sono i pretendenti;
così per arrivare in su la vetta
spinte e sgambetti sono assai frequenti.

C’è chi cerca notizie un po’ curiose,
chi parla del governo o di Veltroni,
chi mette video, foto maliziose,
chi dà del p*rla a Silvio Berlusconi.

C’è chi rimane in Home a punti zero,
chi, con molti, scompare in un istante;
qualcuno sale sempre su leggero,
qualch’altro scende giù sempre pesante.

C’è chi cerca di andare in compagnia,
e chi tenta da solo la scalata;
c’è chi ha trovato poi qualche altra via
e sale, ma rischiando la bannata.

Contro ogni legge gravitazionale
i più pesanti vanno spesso in alto;
ma se qualcuno veramente vale
alla fine riesce nell’assalto.

Ma qui non voglio fare la morale;
chi scrive in Okno cerca di apparire.
Ed ho postato questo madrigale
perché in Home Page anch’io vorrei salire.






Foto in alto: Piazza di Spagna e Trinità dei Monti, con la celebre Scalinata (1721-1725), opera di Francesco de Sanctis.
Stampa di Giuseppe Vasi del 1761

mercoledì 7 maggio 2008

Galateo moderno (semiserio)




"La Venere dopo Botticelli", Andy Warhol (Editions Schellmann, 1984)





Ogni epoca ha il suo manuale di buone maniere.
Ecco alcuni consigli per il mondo di oggi.


Se qualcuno ti supera con l’auto a velocità folle, non mandarlo a quel paese… Ci sta già andando.

Se ti vien incontro in un marciapiede una ragazza con l’ombelico scoperto e il bordo delle mutandine di fuori, non la guardare intensamente… negli occhi (e non diventare un contemplatore dell’ombelico).

Se accanto a te in treno siede un uomo tutto tatuato e piercingato, non mostrare disgusto o meraviglia. Pensa di essere accanto a Toro Seduto. Se poi guardi in quali condizioni è lo scompartimento del treno, non ti sarà difficile pensare al Far West.

Se qualcuno ti vuol passare avanti in una fila, difendi strenuamente il tuo posto. Se però è una (bella) donna, lasciala passare avanti a te; così potrai ingannare il tempo d’attesa ammirando un bel panorama.

Se a tre semafori in successione trovi tre lavavetri, al primo fai pulire il parabrezza, al secondo il lunotto posteriore, al terzo … il borsello.

Se ti trovi ad una cerimonia funebre, assicurati che il tuo telefonino sia spento. Altrimenti quando il prete dice: “State attenti fratelli, che il Signore ci chiama in qualsiasi momento”, ti potrebbe squillare.


lunedì 5 maggio 2008

Dove sei tu? (Poesia di Giulio Salvadori)



"L'Ave Maria" (1859), Jean-François Millet (Museo d'Orsay, Parigi)






In questa lirica di Giulio Salvadori, raffinato poeta e scrittore (1862-1928), amico anche del D’Annunzio, lo Spirito divino è visto negli aspetti più umili della realtà: nei fiori della valle, in un cielo al tramonto (“cielo di viole”), nel “paziente grano” del campo.
La bellezza delle immagini, la perfezione del linguaggio, lo splendore dei concetti fanno di questo breve componimento un vero gioiello d’arte.



Dove sei tu?


Spirito di dolcezza,
dove sei tu? le cime
rudi dell’Alpe ignori.
Troppo sublime
l’Alpe; la tua carezza
va nella valle ai fiori.

Spirito di splendore,
dove sei tu? ferito
l’occhio si chiude al sole:
ma scende al core
voce dell’Infinito
da un cielo di viole.

Spirito onnipotente,
dove sei tu? nel lampo,
nel fulmine non sei:
nel paziente
grano del campo
t’adoran gli occhi miei.



Giulio Salvadori

domenica 4 maggio 2008

Ascensione

Oggi è la giornata dell’Ascensione. I cristiani festeggiano Gesù che sale al cielo e ritorna nella gloria di Dio.

Anche da un punto di vista semplicemente umano il desiderio di salire in alto è sempre stato qualcosa di affascinante e qui vogliamo ricordare alcuni aspetti di questa umana avventura.

Secondo la mitologia, il primo che ha tentato di volare è stato Icaro, con ali di piume tenute insieme dalla cera. Sappiamo come andò a finire.

Archita di Taranto, scienziato e filosofo pitagorico, riuscì a costruire la prima macchina volante (la colomba di Archita).

Leonardo ha volato sulle ali delle sue ricerche. I suoi disegni riproducono gigantesche ali meccaniche, che intendevano imitare il volo degli uccelli.

Ma il primo che realmente si alzò dal suolo con un aeromobile fu il francese Etienne Montgolfier nel 1783, con la ben nota mongolfiera.

Sulle ali della fantasia già nel 1865 era giunto sulla luna Jules Verne, con il romanzo Dalla terra alla luna.
Per la verità, era stato preceduto in questo dall'Ariosto, che aveva fatto arrivare sulla luna Astolfo con l'Ippogrifo a cercare il cervello di Orlando furioso; e Astolfo con grande sopresa ci trovò anche il suo...

La genialità e il coraggio sono stati i due elementi che hanno permesso agli statunitensi fratelli Wright di volare sul primo aeroplano, il 17 dicembre 1903. Dodici secondi, a 40 metri di altezza, ma l’inizio di una nuova era.
Il volo degli aquiloni, uno dei giochi più comuni dei bambini, aveva suggerito la modalità del volo.
Per il nuovo mezzo meccanico occorreva una nuova parola: D’Annunzio coniò il neologismo velivolo.

Anche l’ascesa sul tetto del mondo, l’Everest, da parte di Hillary e Norgay nel 1953, si inserisce in questo percorso ascensionale dell'umanità.

Una nuova sfida: volare nello spazio. Jurij Gagarin è stato il primo astronauta, con la navicella Vostok nel 1961.

Neil Armstrong ha messo per primo i piedi sulla luna, il 20 luglio 1969, nella missione Apollo 11.

La nostra fantasia viaggia oggi su astronavi intergalattiche… desiderosi d'infinito.

Ma esiste un altro percorso verso l’alto, che è stato descritto in modo mirabile dal Petrarca nella lettera 'Ascensione al Monte Ventoso'. Citando S. Agostino dice:
“Gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti e i grossi flutti del mare e l’amplissimo corso dei fiumi e l’immensità dell’oceano e il ruotare degli astri e non curano se medesimi.
Allora, sazio di aver veduto quel monte, rivolsi gli occhi interiori su me stesso”.

Per il grande poeta aretino salire in alto aveva significato ritrovare la sua più profonda interiorità, e in essa la presenza di Dio.

sabato 3 maggio 2008

Chi è un angelo








Per i credenti, questi sono i giorni dell'Ascensione e si ricorda Gesù che sale in cielo tra il coro festoso degli angeli.

Ma, a parte le schiere celesti, l’angelo è:


chi riesce a farti sorridere quando hai voglia di mandare tutti al .. diavolo

chi ti dà una mano quando le tue non bastano

chi ti riporta il portafogli smarrito, magari senza soldi, ma con tutti i documenti (compresi le foto e i santini)

chi ti segnala lampeggiando la presenza di un autovelox (è un angelo in contravvenzione, ma…)

ogni bambino, sempre; ma in ordine gerarchico decrescente, quando dorme, quando studia, quando gioca, quando non vuol fare i compiti, quando ti fa perdere la pazienza…

Regola generale per riconoscere un angelo: l’angelo vero appare quando ce n’è bisogno, e scompare quando ha finito la sua opera.

Diffidare delle imitazioni…


Foto in alto: "Angelo" (1501), Raffaello (Pinacoteca Tosio-Martinengo, Brescia)

venerdì 2 maggio 2008

Lentamente muore... (o serenamente vive?)

La nota poesia ‘Lentamente muore’ è stata per errore attribuita a Neruda, mentre sembra opera della scrittrice brasiliana Martha Medeiros.
Lo scritto ha avuto un grande momento di celebrità quando Clemente Mastella lo ha citato (cadendo anch’egli nella gaffe di attribuirlo a Neruda), durante la sua dichiarazione di voto di sfiducia al governo Prodi.
È una poesia in cui, con frasi un po’ retoriche (ma con qualche spunto interessante), viene criticata la vita abitudinaria ed esaltata una vita all’insegna delle nuove esperienze, della fantasia, della creatività.
In particolare mi hanno colpito alcune frasi, che qui riporto (la poesia può essere letta in Internet):

“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine... chi non cambia la marca o il colore dei vestiti"
“Lentamente muore chi evita una passione, chi vuole solo nero su bianco e i puntini sulle i”
“Lentamente muore chi non capovolge il tavolo… chi non rischia la certezza per l’incertezza”
“Evitiamo la morte a piccole dosi”.

Ho voluto rispondere a questa poesia con un elogio dell’abitudine (Erasmo ha scritto l’elogio della pazzia…!) L’abitudine può sembrare una parola fuori moda; dà un senso di noia, di morte lenta, appunto. In realtà gran parte della nostra vita è fatta di abitudini (habitus), che nel bene e nel male ci guidano come una seconda natura. Un habitus positivo (basti pensare a chi non fuma…) non è un condizionamento, ma una liberazione. Per questo, senza rinunciare a momenti creativi e a voli pindarici, non cadiamo nella retorica della novità ad ogni costo.


Serenamente vive


Serenamente vive
chi ha appreso delle buone abitudini
e cerca di non perderle.


Serenamente vive
chi ha imparato le regole della grammatica
e sa mettere i punti e le virgole dove occorrono
per non essere frainteso.


Serenamente vive
chi custodisce nel suo cuore sentimenti così grandi
che vincono sempre la concorrenza
dei sentimenti meschini.


Serenamente vive
chi ha trovato un solido tavolo
da lavoro
e non lo abbandona
per un tavolino traballante.


Serenamente vive
chi indossa un vestito qualunque
ma che profumi di bucato.


Serenamente vive
chi sa che l’eccezione conferma la regola;
ma tu cerca di sostenere la regola
e la regola ti sosterrà.


La vita va gustata a piccole dosi
giorno per giorno;
ma come in ogni ricetta
bisogna saper rispettare
gli orari.

giovedì 1 maggio 2008

1° Maggio. Il lavoro nella dialettica servo-padrone (Hegel e Marx)
















Ci sono vari modi per festeggiare il 1° Maggio. Una bella scampagnata, una corsa a piedi o in bicicletta, una giornata oziosa…

Io lo voglio festeggiare facendovi spremere le meningi, ricordando due grandi pensatori, Hegel e Marx, che hanno dato un contributo rilevante per la comprensione del significato del lavoro.

Hegel, nella Fenomenologia dello spirito, analizza la contrapposizione dialettica servo-padrone.

Questa contrapposizione nasce nella lotta mortale per la sopravvivenza. Il servo (e nell’epoca antica lo schiavo) è colui che in questa lotta ha avuto paura di morire e si è sottomesso al vincitore, che diventa così il suo padrone.

Il padrone impone al servo la fatica del lavoro, ricavandone i mezzi per soddisfare i suoi bisogni e vivere di sfruttamento.

Il servo, attraverso il lavoro, comprende però che il padrone dipende ormai da ciò che egli produce. In questo modo diventa padrone del suo padrone; e il padrone, servo del suo servo.

Le parti si sono dunque rovesciate. Ora è il padrone che ha paura di morire, perché dipende totalmente dal lavoro del servo, mentre il servo si è emancipato attraverso il lavoro.

Ed ecco la soluzione finale della dialettica servo-padrone secondo Hegel, e poi secondo Marx.

Per Hegel non si devono semplicemente capovolgere le parti, perché altrimenti si ritornerebbe ad una situazione simile a quella da cui si era partiti, e la lotta continuerebbe senza fine.
“Nell’anima del servo si nasconde l’anima del padrone”. In altri termini, se si rovescia semplicemente la situazione, avremo nuovi padroni e nuovi servi.
Hegel vede il superamento di questa divisione quando si giunge alla consapevolezza della insostenibilità delle figure servo-padrone; solo allora si passa necessariamente a una nuova società di persone libere nelle loro azioni. È una nuova coscienza sociale, che viene acquisita attraverso il valore del lavoro.

Marx lesse questa opera di Hegel e ne rimase molto colpito. Ma egli propose una soluzione totalmente diversa. La parte sottomessa, e cioè il proletariato, con la lotta di classe doveva abbattere la minoritaria parte dominante, e instaurare una breve dittatura del proletariato, per giungere infine ad una società senza classi; né sfruttatori, né sfruttati.
“Ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.

La storia ha dimostrato nel corso del XX secolo che non è bastata la dittatura del proletariato per portare ad una società senza sfruttatori, né sfruttati.
D’altra parte, difficilmente si sarebbe raggiunta l’attuale coscienza sociale senza le dure battaglie della classe operaia e contadina.

In una cosa, sia Hegel che Marx, hanno avuto ragione: attraverso il lavoro l’uomo prende coscienza della sua dignità.
Aggiungo, come cristiano, che nella Sacra Scrittura, l’uomo che lavora è immagine di Dio creatore e continua l’opera della sua creazione.


Foto in alto: "Il Quarto Stato" (1901), Giuseppe Pellizza da Volpedo (Galleria d'Arte Moderna, Milano)