giovedì 1 maggio 2008

1° Maggio. Il lavoro nella dialettica servo-padrone (Hegel e Marx)
















Ci sono vari modi per festeggiare il 1° Maggio. Una bella scampagnata, una corsa a piedi o in bicicletta, una giornata oziosa…

Io lo voglio festeggiare facendovi spremere le meningi, ricordando due grandi pensatori, Hegel e Marx, che hanno dato un contributo rilevante per la comprensione del significato del lavoro.

Hegel, nella Fenomenologia dello spirito, analizza la contrapposizione dialettica servo-padrone.

Questa contrapposizione nasce nella lotta mortale per la sopravvivenza. Il servo (e nell’epoca antica lo schiavo) è colui che in questa lotta ha avuto paura di morire e si è sottomesso al vincitore, che diventa così il suo padrone.

Il padrone impone al servo la fatica del lavoro, ricavandone i mezzi per soddisfare i suoi bisogni e vivere di sfruttamento.

Il servo, attraverso il lavoro, comprende però che il padrone dipende ormai da ciò che egli produce. In questo modo diventa padrone del suo padrone; e il padrone, servo del suo servo.

Le parti si sono dunque rovesciate. Ora è il padrone che ha paura di morire, perché dipende totalmente dal lavoro del servo, mentre il servo si è emancipato attraverso il lavoro.

Ed ecco la soluzione finale della dialettica servo-padrone secondo Hegel, e poi secondo Marx.

Per Hegel non si devono semplicemente capovolgere le parti, perché altrimenti si ritornerebbe ad una situazione simile a quella da cui si era partiti, e la lotta continuerebbe senza fine.
“Nell’anima del servo si nasconde l’anima del padrone”. In altri termini, se si rovescia semplicemente la situazione, avremo nuovi padroni e nuovi servi.
Hegel vede il superamento di questa divisione quando si giunge alla consapevolezza della insostenibilità delle figure servo-padrone; solo allora si passa necessariamente a una nuova società di persone libere nelle loro azioni. È una nuova coscienza sociale, che viene acquisita attraverso il valore del lavoro.

Marx lesse questa opera di Hegel e ne rimase molto colpito. Ma egli propose una soluzione totalmente diversa. La parte sottomessa, e cioè il proletariato, con la lotta di classe doveva abbattere la minoritaria parte dominante, e instaurare una breve dittatura del proletariato, per giungere infine ad una società senza classi; né sfruttatori, né sfruttati.
“Ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.

La storia ha dimostrato nel corso del XX secolo che non è bastata la dittatura del proletariato per portare ad una società senza sfruttatori, né sfruttati.
D’altra parte, difficilmente si sarebbe raggiunta l’attuale coscienza sociale senza le dure battaglie della classe operaia e contadina.

In una cosa, sia Hegel che Marx, hanno avuto ragione: attraverso il lavoro l’uomo prende coscienza della sua dignità.
Aggiungo, come cristiano, che nella Sacra Scrittura, l’uomo che lavora è immagine di Dio creatore e continua l’opera della sua creazione.


Foto in alto: "Il Quarto Stato" (1901), Giuseppe Pellizza da Volpedo (Galleria d'Arte Moderna, Milano)

8 commenti:

  1. Ehm...

    Io so che con il lavoro l'uomo può realizzare al massimo le sue potenzialità.
    E che un uomo senza lavoro è privato della possibilità di essere sé stesso fino in fondo.

    Come sai, ho festeggiato l'arrivo di Maggio in un altro modo!

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  2. Carissima Anna,

    ti ringrazio per la tua bella iniziativa, che come vedi è giunta fino a qui... :-)
    La Madre di Dio ci protegga nel viaggio del web e della vita.

    Ciao!

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  3. Bella interpretazione (alla cattolica) della dinamica tesi/antitesi/sintesi hegeliana!
    :-P
    Non so davvero se il buon Georg Wilhelm Friedrich la interpretava così o se si starà rivoltando nella tomba..ahaha
    Credo che il punto focale della rielaborazione marxiana sia soprattutto nel concetto del "valore del lavoro" in sè e reificazione del rapporto che ne deriva.
    temo però che la discussione sarebbe un po' lunghina....
    un abbraccio. Audrey

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  4. Scusa Audrey, ma ho visto solo ora il tuo commento.

    Perché interpretazione 'cattolica'? Anzi, laica, laicissima... hegeliana, appunto. Hegel infatti non tiene conto di un'altra maturazione, ancora più determinante (che io non ho volutamente ricordato) nella coscienza dell'uomo antico: l'apporto della fede cristiana, che considera tutti gli uomini come figli di Dio, e quindi fratelli (la schiavitù diventa assurda, alla lunga).

    Per quanto riguarda Marx, egli colse benissimo il punto evidenziato da Hegel: il valore del lavoro come strumento di emancipazione dell'uomo.
    Ma secondo Marx il lavoro alienato, conseguenza fatale della dialettica servo-padrone, può essere superato solo con l'eliminazione attraverso la lotta di classe di uno dei due termini dialettici, e cioè i padroni dei mezzi di produzione.
    Ma qui non è più hegeliano, perché eliminando uno dei due termini dialettici, impedisce la sintesi a livello superiore e cioè in questo caso la maturazione di una nuova coscienza, in cui non solo i servi ma anche i padroni acquisiscono una nuova consapevolezza (e lo spirito umano per Hegel giunge alla sua piena consapevolezza nell'identificazione con lo Stato, suprema sintesi di interessi individuali e collettivi).

    Marx, e poi Lenin che forzò alquanto le tesi marxiane, invece preferirono la scorciatoia della dittatura del proletariato.

    Grazie del tuo stimolante contributo, Audrey! ma come hai detto, ci sarebbe molto da discutere...
    Comunque Hegel non si rivolta nella tomba per colpa mia...
    Ciao!

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